sabato 30 giugno 2012

Report Jury 27/06/2012

Arch. Romagnoli, Arch. Petillo

La composizione risulta chiara negli intenti e le scelte architettoniche ben motivate dagli schemi e gli schizzi delle tavole, c'è ancora del lavoro da fare per ciò che riguarda le scelte espressive che sono ancora "timide" e la progettazione degli esterni che nonostante la definizione degli ambiti appare ancora un pò svincolata dall'oggetto architettonico è indifferente alla rotazione subita dall'orientamento dell'edificio, per cui l'indesiderato effetto che si ottiene è quello di percepire questi spazi ad alto potenziale come semplici spazi di risulta del lotto. L'esterno deve essere coinvolto nell'edificio non solo in rapporto ad aperture, bucature, passaggi e flussi, ma deve risentire in qualche modo dei movimenti tettonici in atto, amplificandoli o attenuandoli, ma partecipando di un sistema, altrimenti perde la sua forza. Con la rotazione degli assi di riferimento dell'edificio, il terreno si smussa, si articola, si scava o si accumula, come se (e come effettivamente è) costruzione e spazio esterno non fossero due cose separate, a maggior ragione nel contesto delle mie scelte di bang e di programma funzionale.

martedì 8 maggio 2012

Da vocabolo a poesia architettonica

(riflessioni a partire da "Giuseppe Terragni- Vita e Opere" e dalla lezione su Eisenman di A. Saggio)


L'architettura di Terragni presenta un largo vocabolario di elementi singoli, studiati e analizzati in diversi progetti secondo varie declinazioni e connessioni, finchè non arrivano all'apice del proprio significato, finchè non giungono all'acmè. Sono molto affascinata dall'uso che fa l'architetto del telaio, motivo saliente di molti dei suoi progetti primi fra tutti Casa del Fascio e asilo Sant'Elia.
E' banalmente semplice e allo stesso tempo estremamente complesso come questo elemento di volta in volta assuma accezioni totalmente diverse quando non opposte, e soprattutto come riesca a trasformare del tutto i volumi sui quali agisce, pur rimanendo a volte non del tutto denunciato. Riprendendo gli esempi già citati, nella Casa del Fascio il telaio è funzionale all'arretramento della parete vera e propria dell'edificio, è un guardiano posto a protezione di essa, a schermare l'interno dall'esterno; nell'asilo Sant'Elia il telaio è del tutto staccato dalla struttura, ed entra in comunicazione con essa quasi "invitandola ad uscire", mediando il rapporto con l'esterno e facendo da tramite-traino. Nel primo caso il telaio è ciò che resta di una forma pura che subisce scavi, trivellazioni e sconnessioni, è l'avamposto primitivo della struttura, nel secondo caso il telaio si lancia all'esterno, ma non "esce" dalla sua accezione primitiva di sostegno, non è paradigma di se stesso perchè indica alla struttura la direzione della sua dilatazione, traina la costruzione, la "sostiene" anche distaccandosi da essa. Lo stesso elemento andando a sistema con una lunga serie di cose (rapporti pieno-vuoto, lirica d'insieme, direzioni nello slancio architettonico) si sdoppia in due sistemi che hanno una valenza e un impatto sull'edificio completamente differente. E' geniale.



martedì 24 aprile 2012

Bang!






L'età dell'individualità - da "Architettura e Modernità" di A. Saggio (parte II)

Lo scenario storico che si va delineando intorno agli anni '30 è quello di un mondo che si scuote improvvisamente dal torpore nel quale era caduto grazie alla fiducia cieca nel meccanismo economico capitalista e nella produzione in serie che rivela invece i suoi punti deboli.
Proseguono le analisi e le proposte su come impostare i temi della nuova società; particolarmente seguiti sono i temi della casa minima e dei sistemi di urbanizzazione a partire da principi organizzativi (zone distinte tra produzione, distribuzione e residenze). Ciò che in Europa resta una tensione etica in America diventa stile, International Style, promosso da una mostra al MOMA di New York nel 1932. La parola d’ordine diventa l’efficienza, gli interventi diventano asciutti, meccanici e puri e si avvalgono di materiali come vetro e acciaio, paradigmi di questo programma. Comincia ad emergere però una crisi dovuta alla conversione dei vari spunti: gli architetti devono trovare una coniugazione tra le rivoluzionarie conquiste delle avanguardie che hanno ormai esaurito la loro carica accelerativa, e un sentire individuale, personalizzato e quindi per forza di cose storico. Si tratta quindi di come inserire i principi generali avanguardisti nel divenire incessante delle cose, farli divenire dei catalizzatori e non delle statiche regole ingabbiate in un contesto molto particolareggiato. Tre architetti esaminati in questa parte rispondo alla crisi dell’”internazionalismo”: Alvar Aalto, Giuseppe Terragni e Frank Lloyd Wright. I problemi sono comuni, quindi tutti e tre forniscono delle risposte generali, inserendole però in un contesto che si radica in una propria poetica personale che assume valore nella sua specificità e non nella generalità. Le soluzioni dell’architettura quindi non sono internazionali, nel senso di “atopiche”, ma sono fortemente caratterizzate da cultura, sentire e situazioni che risentono del luogo nel quale si innestano.

Nell'architettura di Alvar Aalto risultano sedimentate le basi dell’estetica industriale trovate da Walter Gropius (disposizione libera dei volumi, trasparenza), ma quello che emerge è un’espansione fluida nello spazio che mira ad accogliere e includere la natura, per rifondare proprio il paesaggio. In realtà Aalto non era frutto della nuova educazione, ma aveva subito gli echi delle opere nuove dell’Esposizione di Parigi, la didattica e la costruzione del Bauhaus, le parole di Le Corbusier. La ragione del suo scarto linguistico risiede nel background culturale e nelle stratificazioni che contiene un paese: se per un italiano come Giuseppe Terragni la presenza del passato è ineludibile, per il finlandese Aalto è la natura la chiave di volta, l’imprinting, lo sfondo interiore: nel suo lavoro l’architetto sarà continuamente alla ricerca del legame tra costruzione e ambiente. Penetra nel CIAM quindi una personalità che non ha molto di dottrinario e precettistico, ma che ha un’idea dell’architettura da vivere con gli altri, che antepone valori non disciplinari, ma quelli di viscere e di stomaco che tutti hanno: l’onestà, l’amore, l’onore. La dottrina funzionalista inizia ad essere scossa dalle fondamenta. La summa dei temi fin qui sviluppati si ritrova nel progetto di Villa Mairea, el quale tema della natura, dell'onda e del collage si fondono indissolubilmente.




Per un italiano come Terragni l’architettura non può non misurarsi con la storia, che assume il ruolo che per Aalto aveva la natura. La storia non si rivela con i problemi connessi allo “stile”, classico, romantico o barocco, ma è un a priori ineluttabile e atavico. In particolare per Terragni queste presenze decantano in un vocabolario che propende al volume puro.
In Italia si avvia un momento di aggiornamento prepotente nell’architettura (con i saggi-manifesto del Gruppo7, la biennale di Monza del 1927 e le Esposizioni di Architettura Razionale di Roma del 1928 e 1931) che converge nell’esito per l’importante concorso per la stazione di Firenze Santa Maria Novella, che diventa simbolo incontrastabile di un fervente rinnovamento. E’ la prima vera stazione moderna al mondo (e per questo suscita scandalo) perché pensata unitariamente in tutte le sue componente meccaniche e urbane, funzionali e plastiche, nonché nelle relazioni con la città.




Terragni è un architetto molto ricettivo e resta dunque influenzato da tutti quei pittori che hanno subito la fase della scomposizione dinamica del futurismo, per poi riscoprire la presenza del volume e delle dimensioni prospettiche; allo stesso tempo come molti artisti subisce l’influenza di De Chirico e della sua Metafisica, che svela un’interessante inversione di corrente rispetto alle avanguardie artistiche nate dall’Impressionismo: in questo caso infatti gli artisti interpretano il paesaggio contemporaneo distillandone le componenti (scomposizione, astrazione) processo che poi avrebbe influenzato anche l’architettura come metodo di formativo. La Metafisica al contrario prefigura idee di città che non esistono ancora, alle quali gli architetti degli anni ’30 tenteranno di ancorarsi. Ciò che si riscontra in Terragni è quindi proprio questa tensione dialettica tra il volume architettonico puro e le compenetrazioni costruttiviste.
Sfondo privilegiato dell'azione progettuale sarà Como, sua città natale; nel 1928 riceve l’incarico per la Casa del Fascio la cui ubicazione (affaccia sull’abside del Duomo) e il cui programma (simbolico-celebrativo) sembrano veicolare una scelta ancorata ai sicuri stilemi classici, ma Terragn invece che rivangare il terreno della mimesi e della citazione affronta la questione con gli strumenti opposti: con l’astrazione assoluta, che però si sviluppa secondo un repertorio perfettamente riconoscibile in ambito costruttivo: un prisma senza basamenti o elevazioni, bianco. L’unica via di articolazione linguistica contemporanea sembra essere la facciata libera lecorbusieriana, trattata come piano senza spessore; l’ulteriore scatto di Terragni risiede nel fatto che la parete da diaframma diventa “luogo architettonico”, nel senso che ci succedono una serie di fatti, di slittamenti, di incastri, di spessori. Il grande ossimoro quindi riguarda proprio l’uso di temi stereometrici composti in modo tale da affermare l’astrazione.



Capolavoro di Terragni viene però considerato l’Asilo Sant’Elia, realizzato nel massimo momento di splendore del regime fascista. La scuola viene sviluppata su un impianto già rodato: la divisione del sistema in tre fasce e la pianta viene ruotata rispetto all’asse stradale per ottimizzare i vantaggi dell’esposizione e per inquadrare la Torre del Baradello, molto cara ai comaschi. La nota più importante del progetto è l’integrazione tra schema funzionale e sistema naturale: la fascia centrale simboleggia il filtro ma anche il collante tra infanzia e natura, tra l’uomo moderno e la sua condizione primigenia. Lo spazio del giardino vive e vibra grazie allo slittamento dei volumi (che crea una fertile asimmetria) e all’alternarsi di pieni e vuoti nelle facciate vetrate o opache. Elementi come il portico e il telaio (grazie al quale è possibile ampliare lo spazio delle aule all’aperto con la sistemazione di grandi tende) contribuiscono a sottolineare la compenetrazione tra dentro e fuori: vengono spinti in altre direzioni rispetto a quelle di appartenenza, slanciandosi verso l’orizzonte. Il blocco compatto originale è quindi pervaso di aggiustamenti e riconsiderazioni che rendono la natura protagonista: l’astrazione umana si misura con le forze esterne.





Wright è immerso in tutt’altro contesto: per lui, americano, la visione e la struttura delle cose è condizionata da tutto ciò che rientra in quell’”orizzonte”, che in senso metaforico è anche quello che direziona le mete e i principi dell’esistenza. Il primo sviluppo del suo lavoro si comprende alla luce del progressivo affinamento della tecnica costruttiva a ossatura metallica del cemento armato, che sarà la base per la successiva costruzione dei grattacieli. Inizialmente però lo scheletro portante veniva soffocato da stratificazioni che creavano esiti grotteschi contro i quali si scaglia la ricerca di Sullivan (proprietario dello studio a lungo frequentato dal giovane Wright), che si sforza di stabilire una composizione unitaria dell’edificio alto, nel quale l’ornamentazione e l’uso dello stesso fanno parte della sua intima natura, della sua struttura, gli appartengono e non gli vengono incollati. Molto diversi però sono gli esiti ai quali i due architetti arriveranno nel corso della propria produzione, anche se il seme che germoglia in entrambi è quello dell’organicità, ma mentre Sullivan sviluppa una sorta di gerarchia nella quale struttura e scelte architettoniche si sovrappongono una all’altra, Wright fa in modo che essi non siano coesivamente dipendenti, ma interdipendenti. Dalla “costituzionalità” di Sullivan all’”organicità” di Wright: all’interno di una costruzione tutto è riconducibile ad un unico concetto.
Anche Wright si pone il problema della costituzione della città: Broadacre City, che si pone agli antipodi rispetto alla città lecorbusieriana di tre milioni di abitanti, basata su idee di definizione dei confini, di zonizzazione di omogeneità, di contrapposizione tra parti; la città di Wright è diffusa, dispersa, pulsante e organicamente calata nel territorio. Non c’è separazione ma integrazione e cooperazione tra i sistemi, non ci sono pianeti ma costellazioni, e soprattutto c’è l’influenza della macchina, il suo dinamismo, che corrobora le vie della città, che non ha più nulla di statico.

Contemporaneamente al tema della città e della casa si attua una decisiva svolta espressiva: gli edifici sono “esseri viventi” non “oggetti” e acquisiscono grande forza spaziale, vengono drasticamente ridotti gli elementi iconici (tetti spioventi, camini ecc) in favore dello spazio lasciato a profilati metallici, vetri, legno e pietre che parlano di per se per grana e colore. Dalla decorazione si passa all’esperienza, coinvolgente i sensi. Edificio testimone di questo processo è il Jhonson Wax, un edificio per uffici. Considerandolo un essere organico, dinamico, prevede per lo spazio interno non un movimento meccanico a scatti ma un fluire libero. Gli saranno indispensabili una serie di invenzioni, prima fra tutte quella dei pilastri ad albero (creato con una rete elettrosaldata sulla quale si getta un cemento ad altissima resistenza)che sorreggono e punteggiano tutte le sale, permettendo alla luce zenitale di illuminare l’invaso e la curvatura degli spigoli dei solai e il loro arretrare alternato che determina le fasce che avvolgono la torre e il rivoluzionario uso del tubo di pirite che consente di dare illuminazione all’interno senza permettere di vedere attraverso, creando una sacrale atmosfera di concentrazione lavorativa.



Arriviamo a uno dei lavori più significativi di Wright: Fallingwater . Che rappresenta la summa di tutte le teorie e le ricerche fin qui condotte, nonché un nuovo inizio, l’inaugurazione di una nuova fase creativa, e quindi l’abbandono di tecniche fin qui usate. L’opera non presenta un tracciato regolare, perché subisce troppo la spinta e lo slancio verso l’esterno che è il vero tema fondante della composizione. Wright forma delle “baie” (campate) ortogonali alle rocce che si trovano sopra il ruscello, che determinano la struttura dell’organismo, e si protendono a sbalzo nell’ambiente circostante. La composizione è così tanto slanciata in tutte le direzioni che è difficile da ricomporre, è straziata e slegata eppure non stride. Trova la propria ragion d’essere nei contrasti e nelle ferite, è un insieme che viene sentito solo come evento. La costruzione instaura anche un nuovo rapporto con la natura che non è più metro di misura delle scelte architettoniche, ma interlocutore, è il campo nel quale le scelte dell'uomo si misurano.




Ex Tempore 18 aprile


lunedì 9 aprile 2012

Ex Tempore: Desiderio e Irrealtà

Libertà e infinito: il "non confine"_ lo spazio come fluido: esso sfugge, scivola non ha confine, non è rinchiuso, il vuoto diventa tramite, unione, collegamento.